
Ieri, al quartiere Miano di Napoli dove era nato, è stato rivolto l’ultimo saluto a James Senese. Ottant’anni.
Se ne è andato per una polmonite. Ha ceduto proprio il suo strumento vitale: quel respiro, quel soffio che venivano trasformati in poesia. Poesia fatta di suoni, di voce, di sax e anima.
Da tempo conviveva con la malattia. Ma la sua musica era rimasta integra, necessaria.
La morte non intacca la grandezza di chi, come lui, ha saputo dare corpo e suono alla dignità. E se può sembrare una sconfitta, non lo è.
Ironico, autoironico, irridente e umile, scanzonato e a volte strafottente.
“‘Ngazzate nire” – così si definiva nella sua rabbia, nera e orgogliosa, che diventava ritmo, battito, groove.
Intorno a lui si era coagulato un entourage di grande impatto che trasformò su più fronti gli stanchi moduli melodici della canzone napoletana. Che tuttavia nei temi migliori restano immortali.
Col sax di Senese l’anima della Napoli passionale, dolce, poetica, struggente, drammatica trasvolò idealmente verso Detroit, New Orleans, New York… e tornò mezza nera, ma sempre mediterranea. Mantenne come sottofondo le lontane salmodie greco-romane, arabe, della Villanella del canto popolare, accanto a John Coltrane, Miles Davis (studiati “dalla mattina alla sera”…), blues, jazz, soul.
Era nato da un soldato afroamericano e da una ragazza napoletana. Figlio della guerra e della tammurriata nera (non amava affatto quella canzone del ’44). Anna Senese, sua madre, gli regalò il sassofono quando aveva dodici anni, avendolo visto rapito ed esaltato dopo l’ascolto di un disco di Johnn Coltrane. Ebbe grande intuito. E James diventerà un grande dei quartieri bassi.
Accanto a Pino Daniele, in quell’entourage irripetibile che cambiò la storia della musica partenopea, portò la sua voce e il suo suono nel cuore del Neapolitan power. Pino, non a caso, chiamò Nero a metà il suo terzo album: c’era dentro anche lui, James.
Una volta gli chiesero, con goffa ingenuità, come mai fosse nero, visto l’accento così napoletano.
Lui, con la sua ironia tagliente, rispose:
“Pecché so’ figlie ’e zoccola.”
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