Un attimo di respiro

disegno in bianco e nero di alberi di pino

Un attimo di respiro.

In un luogo di mare che ha il nome di un santo che non esiste.
È coronato da una foresta montuosa di pini d’Aleppo e querce alle spalle.
Davanti, il mare.
Il fondale resta al polpaccio per decine di metri. Sabbie dorate di quelle che scandiscono il tempo nelle clessidre e che lasciano traccia anche dopo un accurato lavaggio.

L’arco del sole sorge dal monte tra i pini, e finisce nelle acque del mare, di fronte, quasi sempre uno spettacolo, un vestito non umano in rosso o in oro da gran festa. Qualche volta invece pauroso, col rombo delle onde, incessanti, in più e più file per i bassi fondali, come un forte acufene.
Le nuvole, quando ci sono, si prendono tutto l’orizzonte. Consapevoli dello spazio che abitano, sfoggiano bizzarrie di luce e di forme. Mare e cielo inchiodano gli occhi. Un incantesimo, un’ipnosi di meraviglia – come sempre, quando si staccano gli occhi da terra.

disegno a matita di quercia

Ma un aspro stridore si percepisce, una smorfia alle labbra, come fosse un suono irritante, un sapore acre, un fastidio sulla pelle. Anzi negli occhi.
È l’edilizia balneare di rapina sorta nei tempi favorevoli, per la maggior parte senza carattere, né di modernità né di tipicità. Mobili, cassettoni con i cassetti aperti, casse d’imballaggio con dentro umani.
Fino agli anni Sessanta era infatti un borgo con poche case – conservano ancora i comignoli tipici -, una torre trecentesca con funzione originaria di vedetta e dogana. Una piccola stazione per un trenino a due vagoni. Tre chiesette.

Una, piccolissima su un’altura, rivolta verso il mare (una decina di fedeli dentro, il resto fuori quando il tempo lo permette).

disegno a matita di pino

Tra i pini di un’altura resta una villa liberty degli anni Venti, ancora con qualche ricordo stilistico originale, ma sopraffatta dalla nuova funzione di ristorante-albergo.
Un’altra villa, chiamata dei fantasmi, ha un passato cinematografico poco conosciuto: vi si riunì una troupe che nel ’27 produsse un film muto girato nei dintorni; una cinematografia nata in area – già nel 1909-, prima ancora di Cinecittà.
Altre ville, di pregio, risalenti più o meno agli anni venti (alcune convertite in alberghi), sono sparse tra i pini secolari. Testimoniano un sorprendente e insospettato giro della café society, non solo regionale: personaggi noti e influenti, musicisti, giornalisti, artisti, viveur, donne fatali… Notti di balli, bevute, cucina raffinata, amori.
La belle époque, una dolce vita ante litteram da una villa all’altra, convergente anche dalla capitale.

A qualche decina di metri dalla battigia, un grande albergo conserva ancora le linee di quell’eclettismo neogotico balneare molto in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Vi si cenava in abito da sera, tra fastose decorazioni e abbondanti corbeilles. Passavano di lì gerarchi e personaggi altolocati che non possedevano una villa in loco, né modo di farsi ospitare.

disegno a matita di pini, sullo sfondo suggerito il mare

D’estate il borgo è preso d’assalto da infinite presenze rumorose che lasciano scorie del loro quotidiano qua e là, come pelli di serpenti, un impiccio di cui liberarsi. Quello stesso pattume che in pochi decenni ha dato forma a un continente al centro dell’Atlantico.
D’inverno risiede nell’abitato qualche anima, nessun esercizio commerciale. Nemmeno un forno per il pane. Resistono un ristorante e un caffè sul mare per le gite di fine settimana.
Spenta l’estate, riemerge il fascino millenario restituito alla foresta dei pini e delle querce, ai silenzi delle albe e dei tramonti, al rumore delle onde, ai gabbiani verso il mare, ai falchi verso monte. La loro immaginaria conversazione è in risonanza con le nostre cellule da milioni di anni.
Sempre più difficile intercettarla, goderne.
E finalmente la notte, nera per le poche luci, può mostrare nitide tutte le costellazioni.

disegno a biro di pino molto alto

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